venerdì 31 ottobre 2008
Italia ai vertici europei per arrivi di stranieri, sempre più diffusi i timori verso questa fetta della popolazione nonostante i segnali di inserimento in ambito produttivo e nelle aule scolastiche. Caritas e Migrantes, autori del XVIII Dossier statistico sull’immigrazione, chiedono al governo il varo di nuove politiche. Don Nozza: «Banco di prova della capacità della nostra classe dirigente».
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IL RAPPORTO DI CARITAS E MIGRANTES. Con una consistenza che si avvicina ai 4 milioni di presenze regolari, l'immigrazione è ormai un fenomeno strutturale. Sono il 6,7% della popolazione residente, poco sopra la media Ue, ormai un innesto complesso per la società italiana, ma senza dubbio fruttuoso. Non è un caso se la XVIII edizione del Dossier statistico sull'immigrazione 2008 realizzato da Caritas e Migrantes si intitola Lungo le strade del futuro. Alla presentazione come ospite il ministro del Lavoro, della salute e delle politiche sociali Maurizio Sacconi. L'immigrazione dunque non è un fenomeno passeggero, meno che mai un'emergenza sociale da contrastare. «È l'ambito delle politiche di integrazione " sottolinea il direttore della Caritas monsignor Vittorio Nozza " il banco di prova della capacità della classe dirigente di un paese chiamato ad affrontare questo tema». In 512 pagine di statistiche e informazioni, articolate in 50 capitoli opera di uno staff di 100 redattori, il Dossier fotografa la realtà del pianeta immigrazione. E suggerisce un indirizzo di intervento sulla base di un'attività sul campo che risale agli anni '70. «Questa consolidata esperienza " afferma il Dossier " induce ad auspicare il superamento del "complesso di Penelope", che porta lo schieramento maggioritario a disfare quanto fatto in precedenza, senza che così possa nascere un minimo comune denominatore libero da logiche ideologiche o partitiche». Il problema, sostengono Caritas e Migrantes, «è la mancata percezione dell'immigrazione come fenomeno strutturale, destinato a incidere sempre più in profondità sulla società». Un fenomeno quindi «non regolabile unicamente sulla base delle esigenze congiunturali del mondo del lavoro», né tantomeno «inquadrabile unicamente nelle esigenze di ordine pubblico». Nella convinzione dunque che «legalità e solidarietà vanno di pari passo», per il coordinatore dello staff del Dossier, Franco Pittau, «dopo il pacchetto sicurezza ci aspettiamo l'elaborazione da parte del governo del "pacchetto integrazione"». Anche se , viste le cifre stanziate, le prospettive non sono affatto buone: Pittau ricorda che il governo ha ridotto da 100 a 5,1 milioni il fondo per l'integrazione, facendo notare che ad esempio la Spagna allo scopo stanzia 300 milioni e la Germania 700. «Comunque le statistiche criminali, utilizzate in maniera impropria, rischiano di trasformare un grande fatto sociale in un fenomeno delinquenziale». «Non nascondiamo i pericoli ma neppure ingigantiamoli», esorta il vescovo Giuseppe Merisi, presidente di Caritas italiana. «Cerchiamo di non essere un paese immemore " ricorda il direttore di Migrantes monsignor Piergiorgio Saviola " e di fare frutto delle indicazioni che ci vengono da un secolo e mezzo di esperienza come immigrati noi stessi». Il ministro Sacconi sottolinea le ripercussioni che la crisi finanziaria avrà presto sull'economia reale: «Nei prossimi mesi la fase recessiva metterà a dura prova l'integrazione» per via dei prevedibili tagli alla spesa sociale. Per non parlare del mercato del lavoro, con una «riduzione delle opportunità occupazionali per i soggetti più fragili, e tra questi gli immigrati». Il ministro prevede «fenomeni di disoccupazione di lungo periodo». Poi parla dell'«intenzione di rendere più agevoli gli ingressi delle alte professionalità» e di inserire nel decreto flussi «a piè di lista» (cioé al di fuori di una programmazione di bilancio) gli ingressi per chi dovrà assistere i non autosufficienti. Sacconi cita la sua Treviso, indicata dal Dossier come la provincia con le migliori politiche per l'integrazione. E sottolinea come proprio in quell'area «si sono inserite delle "menti di disintegrazione"», elencando casi di cronaca nera, rapine e sfruttamento: «Non posso non pensare e preoccuparmi che possa accadere ancora di più altrove». Per il ministro «è la clandestinità che deve preoccuparci di più». La repressione è inevitabile per costruire percorsi virtuosi di integrazione». Una sottolineatura che non piace alla platea e contro il ministro si leva una salva di fischi e qualche «vergogna!». Tocca a Pittau riportare la calma ricordando che la presentazione dei Dossier è stata sempre occasione di dialogo con le istituzioni nel massimo rispetto delle opinioni. «Potevo venire qui " riprende Sacconi " ad elogiare il Rapporto e prendere qualche impegno per l'integrazione, invece non rinuncio a parlarvi delle paure che ho. Con queste bisogna fare i conti per costruire una solida integrazione». E il ministro si riguadagna l'applauso. IL LAVORO. Nell’Italia fotografata dal tradizionale rapporto Caritas – Migrantes l’integrazione è nei numeri e nei fatti. Non ci sono mai stati tanti stranieri e alla società italiana fanno paura, non riesce ad accettare compagni di strada che producono il 9,2% della ricchezza nazionale. Le presenze hanno superato la media Ue e i flussi annuali di ingresso sono maggiori di quelli tedeschi. Le seconde generazioni crescono di 100 mila unità annue, la presenza femminile ha raggiunto quella maschile. Un immigrato su dieci si indebita per acquistare la casa. Altra spia sono i matrimoni misti. Nel 2006, un’unione ogni 10 ha coinvolto un partner italiano e uno straniero, quota più che doppia rispetto alle nozze con entrambi i coniugi stranieri. Nel Nord un matrimonio su quattro è tra un italiano e uno straniero. Oltre 300 mila immigrati dal 1996 sono diventati italiani. E da qui al 2050, secondo l’Istat, arriveranno ad essere tra il 16 e il 18% della popolazione. Nella prima ipotesi sono 9 milioni, nel secondo 12,5. Oggi, per l’autorevole indagine, la presenza straniera è in media di uno ogni 15 residenti, uno ogni 15 studenti e quasi uno ogni 10 lavoratori occupati. La prima collettività, raddoppiata in due anni, è sempre quella romena (625.000 residenti e, secondo il dossier, quasi 1 milione di regolari), seguita da quella albanese (402.000) e marocchina (366.000). Attorno alle 150 mila unità cinesi e ucraini. Il rapporto è chiaro: non è «realistico» pensare al futuro dell’Italia senza lavoratori immigrati, sia per la loro giovinezza (otto su dieci hanno meno di 45 anni) che per il tasso di attività, mediamente del 73%, 12 punti in più rispetto al nostro. Difatti li assumiamo a ritmo continuo. Tra il 2005 e il 2007 sono state presentate circa 1 milione e mezzo di domande di assunzione di lavoratori stranieri da parte di aziende e famiglie con un crescendo impressionante. Dai 251.000 nel 2005 siamo passati ai 741.000 del 2007, quasi il triplo. Un lavoratore agricolo su dieci ad esempio non è italiano. I due terzi del totale si concentrano al Nord, dove prevalgono lavoro in azienda e autonomo. Nel Centro invece prevale, oltre alla partita Iva. il lavoro in famiglia e nel Sud quello delle badanti e lavoro agricolo. Il lavoro autonomo, soprattutto artigiano, coinvolge più di un decimo della popolazione. Sopra i livelli dei paesi industrializzati anche il «nero», che riguarda in aziende e famiglie almeno mezzo milione di stranieri già insediati in Italia e sprovvisti di permesso di soggiorno. Per il dossier è necessaria «una più efficace gestione del mercato occupazionale». Il rapporto calcola che diano all’erario nazionale molto più di quanto ricevano. I comuni hanno speso 137 milioni di euro, il 2,4% della spesa sociale, pari a 54 euro a testa Per interventi diretti agli immigrati. Poiché sono anche beneficiari dei servizi rivolti alla generalità della popolazione, le somme utilizzate a loro beneficio arrivano al massimo a un miliardo di euro e sono abbondantemente coperte dalle entrate che garantiscono. Il gettito fiscale assicurato dagli immigrati nel 2007 è stato infatti di 3 miliardi e 749 milioni di euro, dei quali 3,1 per i soli versamenti Irpef, il resto per addizionale Irpef regionale, Ici, Imposte catastali e ipotecarie. Senza contare le rimesse ai paesi di origine, che nel 2007 hanno raggiunto i 6 miliardi di euro, un quinto in più rispetto al 2006, dirette in particolare verso Cina e Filippine.Le seconde generazioni, indice di integrazione sono in netto aumento. Nel 2007 sono nati sul suolo italico 64.000 bambini con entrambi i genitori stranieri e, se si tiene anche conto dei minori chiamati per ricongiungimento, la popolazione minorile aumenta in Italia al ritmo di 100.000 unità l’anno. I minori stranieri residenti sono circa 800 mila, dei quali ben 457.000 nati in Italia e quindi stranieri solo giuridicamente. Gli studenti figli di immigrati aumentano al ritmo di 70.000 unità l’anno e hanno sfiorato le 600.000 unità nel passato anno scolastico, con un’incidenza media del 6,4%, punte del 10% e più in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Umbria e una maggiore concentrazione nelle scuole elementari e medie. Secondo fonti ministeriali, il 42,5% degli alunni stranieri non è in regola con gli studi soprattutto nelle superiori. Infondato l’allarme sicurezza, che riguarda una minoranza. Le denunce presentate contro cittadini stranieri regolari e non sono aumentate del 45% a fronte, nello stesso periodo del raddoppio della presenza straniera. E riguardano soprattutto irregolari. Per il rapporto i numeri esigono un cambiamento di mentalità e l’adozione di politiche realistiche, a partire dal ritocco verso l’alto dei flussi d’ingresso. Secondo Caritas e Migrantes, l’Italia del ventunesimo secolo deve ora accettare i suoi diversi colori.
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